Il testo:
Caro Direttore,
fa ben sperare la ministra del Sud, Mara Carfagna, quando – nell’intervista pubblicata l'altro giorno dal suo
giornale – afferma che «il PNRR è l’occasione per rendere i porti meridionali competitivi». E conforta
ulteriormente apprendere che la Ministra ha appuntato in cima alla sua agenda la rivalutazione delle ZES,
descritte come «traino per la crescita di intere regioni». Ottimo, infine, che esista – come sembra – una
sintonia progettuale tra il Dicastero per il Sud e il Governo della Regione. A questo punto, però, giova
spiegare a chi legge: cosa significa, nel concreto «rendere i porti meridionali competitivi»? O addirittura
puntare sulla portualità per un autentico rilancio del Mezzogiorno?
Possiamo immaginare, per queste domande, un’unica risposta: chi fa impresa deve preferire insediare la
propria azienda nei nostri territori, quindi è necessario che ci siano le precondizioni perché questo accada.
Qualsiasi intervento di sviluppo della portualità del Mezzogiorno non può basarsi sul solo miglioramento
delle condizioni e delle performance degli scali, ma deve prevedere due visioni strutturali:
l’implementazione di una vera intermodalità, che renda i porti, i retroporti e gli interporti, dove esistono,
una unica ed efficiente area produttiva; e l’attuazione delle ZES, perché porti e interporti giochino insieme il
ruolo di attrattori degli investimenti stranieri e siano volano dell’export.
Prima di tutto, l’implementazione di una vera intermodalità non è più rimandabile. I porti più competitivi
sono infatti quelli che prevedono un collegamento ferroviario che parte dallo scalo stesso: e, ad esempio,
attualmente non c’è un treno che colleghi il porto di Napoli con gli interporti di Marcianise e Nola.
Anche la mobilità marittima delle persone domanda una migliore integrazione: il passeggero che proviene
dalle infrastrutture a terra deve poter raggiungere agevolmente gli scali, come quello del Beverello. Va, in
questo senso, il mio apprezzamento agli intenti del neo-presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del
Mar Tirreno Centrale, Andrea Annunziata, che sostiene con forza l’idea che gli scali debbano dialogare con
le città. Il progetto per la riqualificazione del Beverello, ancorché rallentato, è su questa linea.
Persino la transizione energetica, penso alla decarbonizzazione, passa per un aumento dell’utilizzo
intermodale della Risorsa Mare. È il caso delle “autostrade del mare”: il traffico su gomma viene imbarcato
nello scalo più prossimo alla produzione e sbarcato nello scalo più vicino ai centri di distribuzione. Così
l’autotrasporto deve essere incentivato a utilizzare, là dove possibile, questa opportunità sostenibile.
L’altro tassello è rappresentato dalle ZES. Zone a fiscalità di vantaggio, e dunque attrattori di investimenti,
ma anche laboratorio di semplificazione della burocrazia a carico delle imprese, le ZES rappresentano
proprio l’insieme delle precondizioni per richiamare e trattenere fruttuosamente le attività produttive.
ZES e porti sono però a loro volta inefficaci, se non si porta avanti una politica di connessione tra logistica e
industria. Per essere efficienti, le ZES devono svilupparsi verso quegli hub nei quali industria e logistica si
incontrano: cioè interporti e retroporti. D’altronde la ZES, per il suo stesso impianto normativo, può
estendersi non secondo le direttrici della continuità spaziale ma del legame economico-funzionale. E quindi
potremmo spingerci ad immaginarle addirittura come leve della rigenerazione delle aree depresse.
Insomma, i porti del Mezzogiorno hanno bisogno, per contare, dello sforzo corale di territori e istituzioni.
Allo Stato centrale domandiamo l’accelerazione legislativa, al Governo della Regione quella della
realizzazione delle opere. L’industria c’è ed è pronta a fare la sua parte. Ma è ora di passare dalle belle
parole ai fatti. Le premesse ci sono. Basta che si remi tutti nella stessa direzione: quella del bene del Paese.